lunedì 10 agosto 2015

72 ore

Buio. Mi muovo nell’oscurità, densa come melassa .Allungo le gambe di fronte a me , fino a che lo spazio circostante me lo consente ;urlo quasi fino a farmi male, ma solo le mie orecchie sentono la mia stessa voce: se c’è qualcuno al di là dei massi che mi tengono prigioniero, non posso saperlo :per me il tempo si è fermato, la vita ha subito una battuta d’arresto . Tendo una mano verso l’ignoto ;davanti al mio viso, sopra la mia testa , sotto il mio stesso corpo le mie dita afferrano il vuoto , fino a che non cozzano contro la ruvida superficie della mia angusta cella. Panico . Il primo contatto con le pareti è brutale, animalesco : le asperità della superficie irregolare mi lacerano la pelle , aprono squarci tra le grinze dei palmi , il sangue e gli umori si mescolano in una miscela di terrore puro. Nella mia mente si sviluppano immagini intermittenti: ghiaia , sapore di terra in bocca , sabbia che graffia il viso … carta vetrata che abrade , il rumore delle unghie che si spezzano mentre graffiano un blocco di pietra e cemento. Mi manca l’aria , ma non posso morire adesso. Fuori il mondo mi aspetta. Verranno a salvarmi, lo sento . Respiro. Ora devo esplorare i confini della mia tomba, limitare i danni, preservare la lucidità mentale che mi è rimasta. Sopravvivo. I miei polpastrelli diventano i miei occhi: se c’è una via d’uscita in questo inferno , loro me la indicheranno. Traccio solchi invisibili sul muro di fronte a me , lo sento pulsare sotto le mie dita . E’ ruvido e freddo , come una distesa di foglie in inverno, solcate da scanalature invisibili agli occhi; è il tronco dell’albero della mia infanzia , le sbucciature sulle ginocchia, la crosta secca su vecchie ferite ;sono le mani di mio padre, ruvide e callose , forti eppure gentili ,mentre mi carezzano il viso. Riacquisto la calma . Immagini rassicuranti mi terranno in vita:le rughe di mia madre , una pelle temprata dalle intemperie di una vita dura , aspra ;sento mia madre sotto le mani , sopra la roccia che mi seppellisce e mi uccide; tocco una ruvida sacca di tela ,dentro la quale nascondersi per gioco, per rotolarsi sul fieno ; sfioro il legno scheggiato del vecchio pontile sul quale facemmo l’amore per la prima volta , i calli ai piedi in estate , quando non avevamo scarpe e correvamo liberi nei prati. Tasto queste pietre che mi sovrastano , rugose e scabre ,questa gola riarsa , tanto che anche l’aria mi graffia e mi trafigge nel tentativo di riempirmi i polmoni, queste labbra secche e screpolate , che anelano un’acqua che non potrà lenire la loro sete . La mia vita è raschiata via come una vernice secca e scolorita , con rapidi colpi di smeriglio. Domani forse non ci sarò più , il mio corpo avvizzirà ,aspro e ruvido , si trasformerà in sabbia. Quando lo riportarono in superficie , ancora respirava . I soccorritori non avrebbero mai creduto che dopo 72 ore dal crollo dell’edificio , ci potesse essere ancora qualcuno vivo in quell’inferno di pietre e cemento .Nella concitazione del momento nessuno si accorse della piccolissima pietra che il ragazzo teneva stretta in mano. Non la lasciò mai andare , dovettero sedarlo prima che allentasse la presa . Quella scheggia rimase il simbolo della sua rinascita per molti anni , finchè non venne dimenticata. La sensazione invece rimase , perenne , ogni volta che l’asprezza della vita prendeva il sopravvento: la percezione di qualcosa di ruvido sotto la pelle , il presentimento della morte che alitava sulla sua spalla .

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