sabato 27 settembre 2014

Il volo degli aquiloni

Avevo solo 12 anni. Ed ero sola al mondo.Adesso, seduta su questa spiaggia, assaporo ogni istante nel vano tentativo di recuperare ciò che è andato perduto, come se la brezza leggera che mi carezza il viso potesse trasportare particelle di un passato andato disperso incanalandole verso di me , e io riuscissi nuovamente a catturare quella polvere di ricordi che fluttua nell'aria per ricostruire la mia vita andata in pezzi. Così ripercorro a ritroso gli eventi che mi hanno portato a essere ciò che rappresento adesso , un'anima errante che cerca disperatamente di ricucire il filo dei suoi pensieri . Lei c' era sempre stata. Non ho un ricordo nel quale lei non sia presente. Eravamo in simbiosi noi due, gemelle nate da due madri diverse , in date differenti, eppure uguali nell'anima. O forse ci sembrava solo di esserlo.Ombretta era solare , riccioluta , testarda.Io silenziosa, bionda e sciapa come certe pagnotte che mia madre comprava dal panettiere nei giorni di festa .Lei il sole, io la luna. Lei la luce, io l'ombra. Una cosa in comune però a pensarci bene l' avevamo. Eravamo entrambe nate in un paese di fantasmi e sogni infranti.Seicento anime senza futuro , nate e cresciute all'ombra delle montagne , di fronte a un mare perennemente in tempesta che ogni tanto si divertiva a divorare le barche di pescatori con tutto il loro contenuto umano a bordo . Un paese di casette dipinte , come in un acquerello stinto, collegate al resto del mondo tramite un groviglio di strade contorte e poco percorse da chi non era come noi .La prima volta che ci vedemmo fu proprio davanti a quel mare, stranamente calmo in uno dei suoi momenti letargici che precedevano la tramontana . Avevamo si e no dodici anni in due : Ombretta, col cappellino calato sugli occhi, era intenta a frugare tra i granelli d sabbia ,alla ricerca di un tesoro nascosto che brillava solo ai suoi occhi , col costumino rosa pallido troppo grande per lei , e un paio di ciabatte troppo piccole per i suoi piedini in continua crescita , che le lasciavano uscire gli alluci tondi e paffuti.Ma lei non ci faceva caso, era abituata ad essere sempre fuori luogo, troppo piccola per gli adulti, troppo grande per i suoi coetanei, troppo libera per abitare in quella prigione senza sbarre che era il nostro paese natio .Ragion per cui si sentiva lo stesso a suo agio in ogni situazione , e trovava sempre qualcosa che la facesse sorridere. Poi, all'altro capo della sottile striscia di sabbia che a noi era sempre sembrata un tragitto troppo lungo per arrivare sino all' acqua( da percorrere rigorosamente di corsa, nell' entusiasmo infantile che precede sempre la vista del mare) , c' ero io : magra come un chiodo , gli occhi sempre sul punto di riempirsi di lacrime e la candela di moccio al naso .Ingobbita e rattrappita su me stessa , cercavo di nascondermi e mimetizzarmi col paesaggio, assorta nei miei pensieri , dentro il mio costume olimpionico da campionessa di nuoto mancata . Io che avevo sempre la roba su misura grazie a una miriade di cugine più grandi che mi passavano vestiti di tutte le taglie , le scarpe che calzavano alla perfezione, ero costretta a stare compressa in un personaggio che gli altri avevano inventato per me, senza tenere conto delle proporzioni della mia anima , che già allora tentava invano di adattarsi a quello che gli altri avevano già scritto sul foglio bianco della mia vita. Eppure mi sentivo perennemente soffocare . Io , Elena Bondi, all'età di 5 anni avevo già un notevole carico di responsabilità sul groppone :dovevo essere sempre brava e rispettosa, perché essendo la prima di quattro fratelli non dovevo mai far arrabbiare mia madre e anzi avevo il dovere di aiutarla, come conveniva a una primogenita che si rispetti. Dovevo diventare invisibile, perché venivano prima le richieste dei più piccoli delle mie, e quando arrivava il mio turno mia madre era ormai così stanca e satura di lagne e lamenti , da ignorare completamente i miei bisogni , e anzi , spesso le uniche gentilezze che mi concedeva erano le carezze a suon di ciabattate sulle chiappe. Anche Ombretta aveva dei fratelli, due pesti che non facevano altro che combinare guai a destra e a manca, mentre la loro povera madre penava per loro , eppure sembrava non curarsene.E dire che anche lei di attenzioni ne riceveva ben poche :si diceva in giro che mangiasse solo nei giorni dispari, perché nei pari non avevano mai un soldo(il pregio dell'invisibilità quando si è piccoli è poter sentire i discorsi che i grandi fanno di fronte a te pensando che non capirai le loro parole, convinti forse di parlare una lingua diversa, o che a cinque anni si sia ancora così scemi da non comprendere il filo di un discorso)e spesso le comari amiche di mia madre accennavano al fatto che fosse un po' matta e che l'ultima gravidanza le avesse dato alla testa.< Ma cosa si poteva pretendere da una che si faceva ingravidare a destra e a manca ?> Dicevano scuotendo il capo in segno d forte disapprovazione. In effetti io il padre di Ombretta non l'avevo mai visto , ma pensavo che fosse una fortuna, mica una sventura! Il mio non c' era mai, ma quando rientrava dal mare una volta al mese dovevamo stare tutti in silenzio: la mattina quando ci svegliavamo non potevamo sicuramente saltare sul lettone alla ricerca della mamma ! trovavamo la porta della camera da letto chiusa a chiave , e un vago odore di alcool e di tabacco che fuoriusciva da sotto la porta. Quando c'era lui poi mamma era sempre un po' più triste e evitava pure quel minimo di smancerie e coccole che ci elargiva già col contagocce durante l arco della giornata . Il peggio però avveniva alla sera , quando papà rientrava dalla bettola cantando e reggendosi a malapena in piedi , col volto paonazzo e gli occhi languidi da muggine .Non ricordo una volta che ci abbia messo le mani addosso, né a me né ai miei fratelli, ma l'immagine di papà che rientra dal bar ancora adesso mi mette in soggezione . Era in quelle occasioni che ammiravo mia madre per come gestiva la situazione. Secondo me è grazie a lei che non ci è mai capitato nulla di sgradevole .Quando sentiva la voce del marito che percorreva la via del ritorno ci mandava a letto in fretta e furia , chiudeva la porta della nostra camera e si metteva ad attenderlo sull' uscio , con le braccia conserte e un espressione grave sul viso. A volte saltavo dalla finestra e mi mettevo a spiarli da dietro la siepe che cresceva rigogliosa in giardino. Li sentivo parlare , lui biascicava, lei gli frugava nelle tasche in cerca di qualche spicciolo che mio padre non avesse speso in bevute , poi lui alzava la voce e la colpiva, ma lei si rialzava e si puliva composta il sangue che le usciva dal naso con un fazzoletto , senza emettere un lamento . Poi si parava davanti a lui, la mano tesa , aspettando il misero guadagno del marito, o più di frequente quel che ne rimaneva. Infine lui cedeva , vinto dal rimorso per quel sangue che faceva bella mostra di sé sul tovagliolo bianco (o a volte per la tumefazione dell' occhio di mamma che cominciava a virare sui toni del rosso e del viola, fino a gonfiarsi come un limone, dipendeva sempre dalla forza e dalla traiettoria del pugno che papà sferrava ).Quindi la porta veniva chiusa, entrambi entravano in casa, sentivo papà che piangeva e chiedeva scusa e mamma che lo consolava , e io tornavo ad arrampicarmi dalla finestra e me ne rientravo al calduccio sotto le coperte, trattenendo la pipì per non dover uscire ad affrontare il siparietto pietoso che veniva recitato in cucina . Piangevo in silenzio , pregando Dio che mio padre partisse il più presto possibile e il mare lo divorasse com' era successo al padre di Ombretta. Quando poi il giorno dopo ci svegliavamo, sapevamo che lui era partito perché la porta della camera dei miei genitori era aperta , quindi andavamo a svegliare mamma che in quelle occasioni rimaneva a letto tutto il santo giorno con gli occhi pieni di lacrime, e noi non capivamo perché papà le mancasse così tanto da renderla triste tutte le volte che partiva. La prima volta che vidi Ombretta ero triste, puzzavo ancora di pane e latte e tiravo su col naso le lacrime.Più guardavo verso quella bambina riccia e sudicia intenta a cercare tesori, e più mi saliva la rabbia. Come poteva essere lei così spensierata? lei che non aveva padre, con la madre depressa e i fratellini disgraziati, lei che (lo sapevano tutti) prendeva le botte da tutti gli amici che la sua mamma faceva entrare in casa.Lei che non aveva acqua corrente per lavarsi e neppure un pasto caldo al giorno . Da quel momento l'amai in modo smisurato.Lei era tutto quello che non avrei voluto essere e nello stesso tempo l'unica persona alla quale avrei voluto somigliare .L'amai perché era vento che scacciava via le nuvole , e l'odiai perché io a scacciare le nuvole non ci sarei mai riuscita .Lei parve accorgersene, tant'è che si girò verso di me e sorrise.Da quel giorno in poi, ogni volta che ci trovavamo insieme in spiaggia(e accadeva spesso, nel tentativo di sfuggire al nostro quotidiano tormento ) ci avvicinavamo un po' di più. Senza parlare, senza dire nulla che fosse fuori luogo , imparammo a conoscerci in silenzio , a invadere l' una lo spazio vitale dell' altra senza far rumore, e io nascosi la rabbia che la sua presenza mi faceva montare nel cuore come un cavallo al galoppo, in un angolino nascoso della mia anima, e ve la chiusi a chiave . Avete mai provato a far volare due aquiloni nelle giornate ventose ? Se finiscono per stare troppo vicini inevitabilmente arriveranno ad urtarsi e cadranno miseramente.A volte ne va giù solo uno, e l'altro continua a volteggiare come se niente fosse, anche se il solo fatto di rimanere solo ad affrontare le correnti lo rende più vulnerabile e suscettibile agli umori del tempo .Invece, se si riesce a trovare la giusta distanza tra l uno e l'altro, essi riusciranno a volare insieme , muovendosi in sincrono in un eterna danza col vento. E noi due questa sincronia l'avevamo trovata. Passare dai silenzi alle parole fu facile.Sembrava che ci conoscessimo da sempre , i miei ricordi diventarono i suoi , e viceversa, quello che lei pensava io facevo, e così via. Conservo rari ricordi di quelle prime estati.Io e Ombretta intente a giocare sulla sabbia, o a tenerci per mano, e la sagoma di mio padre , in lontananza, seduto sul muretto, la sigaretta che brilla nella penombra della sera. Sono le uniche immagini di mio padre che ricordo con piacere .Fumava, ci guardava e sorrideva.Anche se non era un'espressione felice , la sua.Piuttosto era un sorriso nostalgico .Ora che sono al corrente di tutta la storia, capisco tante cose.Ma a quel tempo ero solo una bambina , contenta che il suo papà , anche se da lontano ,si accorgesse che esisteva anche lei . L'estate volse rapidamente al termine .Ringraziavo Iddio( ero ancora molto credente in quel periodo della mia vita, grazie al lascito della mia nonna paterna, che prima di morire mi volle lasciare la sua bibbia illustrata, non prima di avermi spiegato termini come punizione eterna, ira di Dio, miracoli e grazia ) per quell' amicizia capitata così , tra capo e collo, in una giornata iniziata con i peggiori auspici, perché a scuola avrei potuto avere Ombretta come compagna di banco e non mi sarei dovuta sedere vicino a qualche altra coetanea della quale non sapevo nulla.Il nostro era un paese di vecchi, donne e bambini : gli uomini erano sempre in mare e i ragazzi che non si imbarcavano partivano alla ricerca del Sacro Graal che li riscattasse da una vita di miseria e patimenti.A volte ce la facevano , e mandavano cartoline coloratissime ai genitori e fotografie in bianco e nero di città piene di vita e visi sorridenti, destinati a non rimettere più piede a Grottafalciata neppure per una vacanza. Altre volte la maledizione del nostro paese li raggiungeva proprio quando pensavano di essere ormai al sicuro e infrangeva tutte le loro speranze.Alcuni tornavano, e prendevano il posto dei loro padri sulle barche a capo chino , arrendendosi a quel destino cieco che non prendeva in considerazione le ambizioni e i sogni di ciascuno di loro .Quanto a me , io non ho mai voluto fuggire. E' stato il paese stesso a vomitarmi fuori , come una sostanza indigesta , perché, come ogni buco dimenticato da Dio che si rispetti, si può accettare ogni orrore, l'importante è arginare gli scandali dietro un muro di omertà .Se si fa finta di non vedere, è più facile cancellare i misfatti. Poco importa se sotto i portici e dietro alle sigarette non si parli d'altro, finchè lo si fa sotto voce e allusivamente. L'importante è non gridare i misfatti ai quattro venti.In questo modo si può tollerare qualsiasi cosa.A sei anni però noi eravamo ancora all'oscuro di queste dinamiche e ci godevamo ognuna a modo suo la fanciullezza e la seppur breve innocenza di bambine non troppo spensierate, ma ancora troppo piccole per esserne totalmente consapevoli. Il primo giorno di scuola fremevo. Mamma aveva recuperato un libro da una delle mie numerose cugine e qualche settimana prima aveva cercato di inculcarmi in testa l'alfabeto in stampatello maiuscolo , con scarsi risultati.Diciamo che , anche se non ero interessata in alcun modo a imparare a leggere, il solo fatto che mia madre mi dedicasse del tempo esclusivo per insegnarmi qualcosa mi mandava in estasi , e aspettavo con ansia che arrivasse la sera per stare sveglia un po’ più dei miei fratelli , con il libro in mano e mamma accanto a me che sillabava le lettere una ad una .Credo che siano i momenti più felici in assoluto che ho passato in sua compagnia, cerco di serbare questo ricordo il più possibile , per addolcirne la memoria , anche se spesso affiorano solo pensieri neri attorno alla sua figura.Non era colpa sua , non lo è mai stata , ma perdonarla mi è così doloroso, che preferisco chiudere a chiave anche il suo viso nel mio cuore, e così l immagine di lei sbiadisce giorno dopo giorno nella mia mente.Non si può odiare chi non possiede più un volto o una voce. Il piccolo cortile della scuola era gremito di bambini.Cercai Ombretta con lo sguardo, un misto di paura e preoccupazione all'idea di non trovarla, che mi attanagliavano il petto.Infine scorsi i suoi ricci dietro il tronco dell' albero cavo che faceva bella mostra di sé in mezzo al cortile. Non mi avvicinai subito perché qualcosa mi bloccò. Notavo le altre bambine che facevano capannello attorno a Emma, la figlia del sindaco , e ridacchiavano lanciando delle occhiatacce divertite in direzione di Ombretta. Ad un certo punto fui assalita dal panico, se mi fossi avvicinata alla mia amica probabilmente sarei stata il prossimo bersaglio delle loro morbose attenzioni.Ma io ero così brava a diventare invisibile, quindi perché non farlo anche adesso? Ombretta avrebbe capito.Quando sbucò da dietro il tronco , girai la faccia e feci finta di non vederla. Immaginai il suo viso, il sorriso appena accennato nella mia direzione che svaniva , soppiantato da un espressione delusa e sconfortata . Mi morsi il labbro trattenendo le lacrime ed entrai in classe, coi quaderni sottobraccio, seguita da una fiumana di bambini ancora allegri per l' estate appena trascorsa. Ombretta fu l'ultima a mettere piede nell' aula. Avevo scelto apposta un banco singolo, in modo che nessuno potesse sedersi affianco a me , ma lei parve non notarlo. Io però notai la ragione delle spinose attenzioni che le compagne di classe le avevano generosamente elargito . Nonostante si fosse pettinata e lavata la faccia per l' occasione, cosa rara per lei che era perennemente incrostata di alghe e salsedine , indossava un paio di scarpe decisamente fuori misura, e una gonna che doveva essere di sua madre , e che lei aveva assicurato alla ben' e meglio in vita legandola con una sciarpa.Ora come ora mi fa pensare a una bambina gitana , e mi fa sorridere, ma in quel momento provai solo disgusto.Il moto di rabbia tornò alla carica impetuoso , perché Ombretta , noncurante dei risolini e delle occhiatacce, sorrideva a tutti e cercava di fare amicizia , e quando mi passò a fianco misi apposta la punta del piede fuori dal banco per farle lo sgambetto , il tanto che serviva per tirarle lo strascico della lunga sottana , facendo ruzzolare la mia amica gambe all' aria . Nessuno vide che ero stata io , e io per prima non lo diedi a vedere . Anzi ,mi alzai dalla sedia, mi finsi addolorata e aiutai la mia amica a risollevarsi, mentre intorno a noi tutti ridevano in maniera sguaiata.Ombretta tratteneva a stento le lacrime, e mi guardò implorante, come se io fossi in possesso di un interruttore capace di spegnere tutto e riportare i nostri corpi sulla spiaggia , noi due sole a cercare conchiglie. Ma la sua insicurezza durò solo un istante . La bambina si staccò dalla mia presa, accantonò la tristezza , ingoiò le lacrime e si mise a ridere di gusto anche lei, mimando più di una volta la sua stessa goffaggine , fino a che la maestra entrò in classe e intimò a tutti il silenzio:< Tutti a posto , altrimenti vi metto una nota sul registro! e lei signorina , vada a sedersi e smetta di fare il pagliaccio!>. Ombretta fece finta di stupirsi delle parole della maestra , scatenando un'altra ondata di ilarità generale e andò a sedersi al suo banco a capo chino e con un espressione di falso dispiacere sul volto.Mentre prendeva posto girò impercettibilmente il viso verso di me , e mi fece l'occhiolino . Quello fu solo il primo di una serie di dispetti a discapito della mia migliore amica, la persona che ho amato di più al mondo e colei che ho fatto soffrire di più durante tutto l arco della mia vita. E il suo perdono è ciò che di più doloroso custodisco nel cuore. La nostra scuola altro non era che un capannone quadrato che tempo addietro era servito da mercato del pesce, circondato da un cortiletto spoglio, dove sopravvivevano alcuni albero avvizziti che in primavera offrivano ben poco riparo dalla calura incombente . Le aule erano stanze dai soffitti alti ma poco illuminate , dato che i finestroni erano troppo in alto e fornivano un esiguo ricircolo dell' aria.Da quando il vecchio edificio scolastico era stato distrutto dall' incendio di dieci anni prima, nessuno si era preso la riga di ricostruirlo, e quella che doveva essere una sistemazione provvisoria era diventata definitiva a tutti gli effetti. A riprova di ciò affianco al casermone avevano costruito alcune stanze da adibire a segreteria scolastica , che si addossavano alle pareti grigie del capannone tanto da dare l impressione che potessero esservi inglobate da un momento all' altro . Allo stesso modo era stato costruito il paese.Una distesa di casupole costruite una accanto all' altra , quasi a volersi sostenere a vicenda , davano l'impressione di essere tessere di un gigantesco e vecchio domino impolverato .Se una sola avesse ceduto , anche le altre sarebbero crollate in successione.E invece stavano lì, inghiottite da un paesaggio aspro e selvaggio, il mare ai piedi e le montagne a picco che svettavano sopra i tetti . Grottafalciata era stata fondata da un gruppo di pescatori che, credendo di aver trovato l'eden dopo aver avuto una serie di battute di pesca fortunate al largo di quella costa, e approfittando del fatto che l' insenatura naturale formatasi in seguito a mille tempeste offriva un porto sicuro per le loro barche , avevano avuto la brillante idea di trasferirsi in quel lembo di terra dimenticato da Dio , e vi avevano fondato un paesino .Inizialmente la buona sorte e il tempo clemente di quei primi anni avevano benedetto quella scelta e altre famiglie di pescatori avevano pensato di andarci a vivere travolti da un insolito entusiasmo e dalla promessa allettante di un luogo incontaminato .In seguito però quello stesso entusiasmo era scemato , vuoi per il fatto che , se la via del mare era sicuramente più praticabile, la strada che congiungeva il paese al centro abitato più vicino era lunga e impervia, e questo aveva ridotto al minimo i contatti verso l'esterno. E quando anche il pesce aveva cominciato a frequentare meno quella costa , i pescherecci avevano cominciato a spingersi più a largo, e alcuni non erano tornati . Ormai però la gente si era disabituata a vivere immersa nella civiltà , e nessuno si sentiva più in grado di tagliare il cordone ombelicale che lo legava strettamente a quel mare e a quelle rocce, per mettere radici in un altro posto e ripartire da zero . Ragion per cui Grottafalciata aveva continuato a sopravvivere, e i bambini avevano continuato a nascere.Non che mancasse qualcosa , s'intende. Oltre a scuola e municipio, c' era il panificio, la falegnameria, la rimessa delle barche , la farmacia, per quanto sfornita , un medico che veniva due volte al mese, un supermercato, e pure l'ufficio postale . Le merci, manco a dirlo, arrivavano via mare a ogni cambio di stagione , e le casalinghe facevano la fila sul molo per seguire le operazioni di scarico e controllare quali nuove mercanzie avrebbero fatto bella mostra di sé sugli scaffali .Insomma, il paese godeva di una certa indipendenza dall'esterno. Le vere difficoltà le incontrava chi voleva continuare a studiare dopo aver conseguito la terza media: bisognava viaggiare fino al primo centro abitato più vicino, e questo era possibile soltanto per chi era automunito ,anche se in effetti non erano stati tanti i giovani a manifestare il bisogno di approfondire la loro cultura. La maggior parte, raggiunta l'età per andare a mare, si imbarcava nei pescherecci di famiglia, e lì passava gran parte della vita , andando di porto in porto per cercare di vendere ciò che aveva faticosamente pescato . Poi c'erano quelli che volevano di più .Quelli che si sentivano stretti tra il mare e la montagna , e soffrivano di una claustrofobia che li portava al di là della cresta del monte Falciato , alla ricerca di una vita che non fosse solo mare e miseria (intesa come miseria culturale, di esperienze , e non solo economica). Giacomo Bondi era stato uno di quei ragazzi che avevano osato pensare a una vita diversa da quella per la quale erano nati e cresciuti. Ragion per cui , una volta diventato "grande" aveva detto ai genitori che la vita in mare non faceva per lui, aveva fatto un fagotto con le poche cose che possedeva , ed era partito alla volta della città. Al padre era preso un colpo, ed era morto di lì a pochi mesi.Neppure questo lutto però aveva spinto il giovane a tornare definitivamente a casa e , dopo una breve visita per aiutare la madre ad organizzare il funerale, Il ragazzo era ripartito . In città Giacomo si era dovuto adattare a vivere alla giornata , e con grande fatica aveva trovato una sua dimensione in quel groviglio di palazzi, strade e vita. E ce l'avrebbe anche fatta se non avesse incontrato lei.L' aveva stregato fin dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lui :Ornella era bellissima , due grandi occhi chiari e i capelli color del sole.Per lui, abituato alle donne tutte uguali di Grottafalciata, era stata una visione celestiale, talmente celestiale che l'aveva messa incinta alla velocità della luce. A quel punto era dovuto tornare in paese con la coda tra le gambe , dato che la ragazza apparteneva a una famiglia rispettabile e solo il matrimonio avrebbe potuto lavare l'onta di una figlia disonorata( e di sicuro non poteva mantenere moglie e figlia abitando in un seminterrato e con lavoreti saltuari) .Fu così che Giacomo tornò da sua madre a testa bassa, s'insediò nella casa paterna e accettò di andare a mare con uno zio . Dal canto suo Ornella subì controvoglia quella sistemazione, credendo alle parole del marito che la definiva provvisoria, almeno fino a quando non avessero messo da parte un po’ di soldi per ricominciare una nuova vita in città. In quello stato di frustrazione e tristezza ero arrivata io e via via che nascevano gli altri miei fratelli il sogno di tornare alla vita di un tempo si allontanava sempre più. Dopo la mia nascita a dire il vero mia madre aveva manifestato l'intenzione di tornare a casa dei suoi genitori, ma questi ultimi erano stati così felici di vederla sistemata lontano che non avevano intenzione di attirare altri guai e altri pettegolezzi riprendendo quella figlia scapestrata con loro, e gliel' avevano scritto per lettera, mettendo nero su bianco le parole che ancora bruciavano nel petto della ragazza, nonostante fossero passati anni:< Mia cara , speriamo che questa lettera ti trovi in salute e felice.Tuo padre e tua madre ti amano, ma non hanno alcuna intenzione di acconsentire al capriccio dettato unicamente dalla tua cocciutaggine.Il ruolo di ogni donna è quello di stare accanto al marito , e non saremo di certo noi a violare questa legge sacra.Per questo motivo non puoi tornare a stare con noi. A presto.> In questo modo si infrangevano tutte le speranze della povera Ornella , alla quale non restava altro da fare che adattarsi a fare la moglie di un marito - fantasma e sfornare figli come tutte le altre donne di Grottafalciata.Mi è capitato spesso di pensare a mia madre e mio padre, giovani e felici in una città dalle molteplici opportunità. Mia madre avrebbe dovuto diplomarsi nel giro di un anno se non fossi arrivata io e li avessi colti di sorpresa.Erano felici, ed innamorati. Il paese li ha cambiati, abbruttiti, ha trasformato mio padre in orco e mia madre in una casalinga depressa senza arte né parte. Era questo ciò che desideravano? Avevo undici anni, e stavo cercando un foglio in un cassetto , quando avevo trovato le lettere.Quelle che mia madre aveva scritto ai suoi genitori , che non ho mai conosciuto, restituite al mittente , chiuse, insieme alle risposte lapidarie dei miei nonni . Pur sapendo di commettere un peccato, le aprii a una a una e le lessi. Parlavano di me , di noi , di sentimenti feriti , tradimenti e sogni infranti. Della paura di essere abbandonata.Di un castello eretto sulle menzogne , sui silenzi, sulle cose taciute ma mai dimenticate . Di un calderone di dolore che sobbolliva in attesa di straripare , e chie fino ad allora lei era stata brava a tenere a bada .Da quel giorno mi convinsi di essere di troppo , di essere sempre stata un peso , e che forse in fondo sarebbe stato meglio se non fossi mai nata .Ma non ne parlai mai a mia madre , forse per paura di scoprire che le mie convinzioni avevano realmente un fondo di verità .Sapevo che se altri fossero venuti a conoscenza del suo dolore più intimo, il delicato equilibrio che aveva costruito giorno dopo giorno si sarebbe definitivamente infranto come le onde sulla scogliera in riva al mare . Allo stesso tempo però non potevo tenermi tutto dentro .Ombretta era sempre al mio fianco, raccolse i pezzi della mia anima ferita e asciugò le mie lacrime.Lei trovava sempre qualcosa per cui valesse la pena sorridere , e anche quel giorno appena mi vide riuscì a capire il mio stato già prima che le aprissi il mio cuore . Vicino a lei , sulla spiaggia , mi sentivo al sicuro .Era sera , ma sapevo dove l' avrei trovata. Era come sempre a cercare conchiglie , in riva al mare . Si rifugiava lì quando sua madre era in compagnia di qualcuno o era solo particolarmente depressa , e anche quel giorno non aveva fatto eccezione. Anche se la serata era calda indossava le maniche lunghe , per coprire i lividi che le aveva lasciato addosso l ennesimo patrigno ubriaco ,eppure appena mi vide mi sorrise.In quel momento andai fuori di testa.Possibile che con tutti i problemi che aveva , Ombretta trovasse ancora la forza di sorridere e di ascoltare i miei deliri?? Glielo dissi , e sputai veleno su di lei, ma non si scompose più di tanto: era abituata ai miei eccessi di rabbia, eredità del carattere di mio padre . Quando mi fui sfogata mi abbracciò , e mi spiegò che noi non avevamo colpa, non avevamo scelto noi di nascere , e non avremmo mai potuto scegliere di morire per lasciare i nostri genitori liberi di sognare ancora.Ombretta aveva ragione , lo so .Ma non si può vivere una vita di menzogne. prima o poi il castello di carte costruito dagli adulti era destinato a crollare.Quando successe il fattaccio eravamo a scuola . Ombretta da qualche giorno era scostante , assente, come se il suo sesto senso l' avesse avvertita del pericolo imminente . Al suono della campanella prese le sue poche cose e le ficcò nello zaino . La notizia però ci raggiunse ancor prima di varcare l'uscita. Giacomo Bondi, mio padre, aveva ucciso a coltellate Angela Manarti, poi si era tolto la vita gettandosi dalla scogliera. Sulle prime non capii.La notizia mi lasciò basita e, in qualche modo, quasi sollevata .Poi vidi il volto di Ombretta tingersi di terrore.Mi resi conto solo allora che in tutti quegli anni non avevo mai saputo il nome di sua madre . Mentre un poliziotto arrivato fresco fresco dalla città per l' occasione tentava di farci restare a scuola , Ombretta sgusciò fuori e si dileguò tra le vie del paese.Nessuno le andò dietro.Rimasi sola , mentre mia madre arrivava di corsa e mi prendeva tra le sue braccia come non aveva mai fatto in tutti quegli anni , e mi raccontava il resto della storia. Prima di partire Giacomo e Angela erano stati fidanzati .Quando lui era partito le aveva promesso che una volta che avesse fatto fortuna sarebbe tornato a prenderla . Poi però si era innamorato perdutamente di mia madre . Il resto del racconto lo conoscevo. Quello che non sapevo però era Angela aveva rivisto mio padre durante il funerale di mio nonno, e nel tentativo di consolarlo era rimasta incinta. Pochi mesi dopo Giacomo aveva sposato mia madre, ma segretamente aveva continuato a vedere Angela che lo ricattava con la storia della bambina , e vedeva altri uomini col solo intento di far ingelosire l'amante . Mia madre l'aveva sempre saputo ma per amor nostro o forse per paura che mio padre messo alle strette potesse scegliere lei ,non aveva mai fatto niente per cambiare le cose. Quella mattina , appena rientrato dal mare, Giacomo era andato a casa della donna, e l'aveva trovata in compagnia di un altro uomo.Accecato dal bere che ormai era diventato il suo compagno abituale fin dalle prime luci dell'alba , e dalla gelosia , mio padre aveva riempito di botte il malcapitato, e ucciso Angela con trentacinque coltellate .Quando mia madre terminò il suo racconto mi sentivo come in preda al mal di mare. Feci per andare in bagno, ma riuscì a scappare e andai alla disperata ricerca di Ombretta . Dovevo leggerlo nei suoi occhi, scoprire se lei era al corrente di tutta la storia . La trovai al solito posto.Come sempre mi sorrise, e io in quel sorriso lessi tutto ciò che mi aveva tenuto nascosto per tutti quegli anni .Eravamo sorelle .E lei l'aveva sempre saputo.La madre gliel'aveva rinfacciato ogni giorno della sua giovane vita , era stata la figlia non voluta , non esisteva nessun padre morto in mare . Lei avrebbe potuto odiarmi per questo, per aver preso il suo posto nella vita di mio padre , ma non l' aveva fatto. Anzi, mi aveva donato il suo amore più puro e incondizionato .A quel punto la rabbia che fino ad allora avevo serrato in petto venne fuori come un fiume in piena e mi accecò la vista. Cominciai a spingere mia sorella senza parlare, senza che lei opponesse resistenza , le lacrime che ci solcavano il viso a fiotti, mentre il mare si alzava in burrasca e il vento cominciava a soffiare più forte . La spinsi fin dentro l' acqua , finchè ci arrivò alle ginocchia. La spinsi ancora , ma lei non sapeva nuotare . Mentre un onda la travolgeva la sentì mentre mi urlava : ti perdono .Ombretta morì tre volte quel giorno, e tre volte riuscirono a riportarla in vita . Quanto a me ,fui accusata di tentato omicidio ma ero minorenne e venni presa in custodia dai servizi sociali, mentre mia madre e i miei fratelli si trasferivano in un'altra città. Mi avevano abbandonato tutti .Nel corso degli anni Ombretta tentò di rintracciarmi tante volte, mi scrisse tante lettere a cui io non risposi mai. Mi chiamava sorella, diceva che ero l unica persona al mondo ad avere importanza , per lei. Io però avevo già deciso , le avevo già fatto troppo male , l' unica persona al mondo che aveva tutti i motivi più disparati per odiarmi e che invece mi aveva amato profondamente come nessun altra . Avevo tentato di ucciderla, quando invece avrei voluto morire io stessa.E lei questo l' aveva capito, e mi aveva perdonata . L'amore e la morte si somigliano sotto vari aspetti, possono consumarti nel giro di una notte, o avvelenarti piano nel corso di un intera vita. Mio padre e Angela erano morti perché avevano amato troppo una vita che non avrebbero mai vissuto , mia sorella avrebbe potuto sopravvivere al mio amore solo se fossi rimasta lontano da lei . Gli aquiloni volano alti solo se distanti tra loro.Le loro traiettorie non si devono mai incontrare, perché uno dei due potrebbe soccombere.Così vivono , trascinati sulle nuvole dallo stesso vento che soffia sulle loro ali colorate , in una danza parallela , liberi . Ora sei libera amica mia.E anche io.