lunedì 11 agosto 2014

Nuvole bianche e un campo da calcio

Aveva una naturale predilezione per qualsiasi cosa  si potesse calciare, che fosse una pietra, una bottiglietta, una lattina trovata per strada, e l'aveva dal giorno in cui aveva mosso i primi passi . Passione bizzarra, a quei tempi , per una femmina, coltivata tra un saltello e l'altro e  cresciuta insieme a lei . Quando tornava a casa sua madre si arrabbiava sempre , per quelle ginocchia sbucciate , le  calzamaglie rotte , e le scarpe di vernice della domenica che avevano presto perso la naturale lucidità, e ora apparivano vecchie e lerce, pure se le aveva indossate non più di quattro o cinque volte .Suo padre poi non si era mai rassegnato al fatto di non aver avuto eredi maschi , ma non per questo accettava che sua figlia, la sua unica bambina, con quel corpicino esile e grazioso, i fiocchi sui capelli e le gonnelle di chiffon  , avesse preso una decisione così "innaturale".
<Voglio giocare a calcio >. Erano tutti seduti attorno al tavolo, e si accingevano a mettere in bocca il primo boccone , quando Lia aveva pronunciato quelle parole. Alla nonna era andato tutto  di traverso , e così il babbo era dovuto correre a farle la manovra di disostruzione, mentre sua  madre si portava le mani sugli occhi e mormorava:<Eitta appu fattu po tenni una figgia angasi...>.L'unico che non aveva mai ostacolato i sogni di sua nipote era il nonno. Anche se la scelta di Lia di rivelare i suoi propositi  proprio all'ora di pranzo non gli era parsa una buona idea:<Avresti dovuto cercare un momento più consono, figgia mì >,le aveva detto mentre si sbucciava una mela, seduto vicino al camino in sa cadiredda bascia , mentre la mamma era corsa a piangere in camera sua , e il babbo, dopo aver fatto stendere la nonna , che già imprecava dicendo che qualcuno aveva fatto sicuramente s'uglu malu sulla nipote , chiamava dottor Foddis per sapere se ci fosse un rimedio omeopatico per quel tipo di spaventi . Il nonno era un omone in confronto a lei, con quei suoi occhi azzurro cielo che si perdevano dietro agli spessi occhiali. I suoi capelli bianchi , radi,  come nuvole che si dissolvono coi raggi del sole, incorniciavano quel viso buono, la fronte alta, le orecchie grandi. <Così ci sente meglio>, pensava la bambina quando gli sussurrava quanto gli voleva bene, e quelle mani forti, che la sorreggevano tutte le volte che cadeva, che le asciugavano le lacrime quando tornava a casa con un bernoccolo per aver fatto a gara coi compagni a chi si arrampicava più in alto sull'albero di fichi che tendeva i suoi rami di fronte al cortile della scuola, quelle mani l' avvolgevano in un abbraccio, mentre il nonno la issava sulle sue ginocchia e le cantava Duru duru tzia Mariola , come faceva tutti i giorni dopo pranzo  da quando era ancora in fasce.E Lia , che naturalmente  non era più così piccina per quel tipo di canzonette, lo prendeva in giro e gli ricordava che ormai era cresciuta, che era "grande " per quel genere di giochi, ma continuava a rimanergli seduta in grembo, assaporando l'odore dei suoi vestiti ,del tabacco della sua pipa , del dopobarba che il vecchio distribuiva generosamente ogni mattina  sul viso appena sbarbato. Odore di sicurezza, tranquillità , il porto riparato  dove rifugiarsi in caso di tempesta . Il nonno era stata la persona più importante di tutta la sua vita , fino a quel momento . E probabilmente sarebbe stato così anche in seguito , anche quando non l' avrebbe più avuto al suo fianco .Ma in quel momento Lia non ci pensava, e viveva la spensieratezza della sua età, e lottava contro  quel fastidioso pensiero che spuntava nel suo cervellino di bambina ogni volta che pensava al pallone, insieme a un prurito ai piedi che la rendeva quasi iperattiva , al punto da dover lasciare a metà qualsiasi compito stesse  svolgendo e mettersi a correre , in preda alla frenesia . E a dire il vero il pallone Lia ce l ' aveva .Era stato proprio il suo amato nonno a prendersi la briga di procurargliene uno, di cuoio vero , forse un po' troppo pesante per le sue esili gambette, ma a lei non importava . I genitori naturalmente non erano stati messi al corrente di questo regalo desiderato  quanto inaspettato, dato che probabilmente avrebbero liquidato la faccenda nella migliore delle ipotesi con un < Possiamo ancora riportarlo in negozio e cambiare merce>, mentre nella peggiore si sarebbero serviti di un bel coltello affilato , seguito da un sonoro  ceffone su entrambe le guance, e una caterva di insulti in direzione di quel nonno scriteriato, alla faccia di chi dice che i sogni dei bambini vanno coltivati e non soppressi.
Ora il nonno non c è più , e Lia è diventata grande. E' la sua prima partita .Non ha mai abbandonato il suo sogno.L' ha promesso al vecchio, un attimo prima che morisse, prima che quel male oscuro che l' aveva costretto sulla sedia a rotelle se lo portasse via, inevitabilmente . Ha messo il  pallone di cuoio dentro la bara .Voleva che  avesse con sé la cosa a lei più cara al mondo .Dopo di lui, naturalmente.Tante immagini si fanno strada nella sua testa , ma il fischio d'inizio la riporta nel presente e  le fa battere forte il cuore . Il suo pensiero corre con lei , mentre dribbla le avversarie , cade , si rialza , mette il pallone sul dischetto... e tira. Il pallone sbatte su un palo ,prende una strana traiettoria e magicamente   rimbalza in rete , mentre il portiere dell'altra squadra si alza in piedi e impreca, sugli spalti gli spettatori  esultano come in preda a un'euforia collettiva e le sue compagne  le si fanno intorno per complimentarsi con lei. Lia però non si muove, non sente la folla che canta , non risponde alle compagne  che la chiamano ,ma  sorride e alza gli occhi al cielo, mentre una nuvola bianca svanisce tra i raggi del sole  <Ecco nonno,ce l' ho fatta, guarda, questo goal è per te>.

Dedicato a mio nonno , al quale mi sono ispirata per descrivere il vecchio buono ,protagonista della mia storia .Io non ho mai voluto fare la calciatrice , ma quando da piccola ero tra le sue braccia  ho sempre sentito che avrei potuto anche volare, se solo l'avessi desiderato . Perchè lui era il mio gigante buono .E nonostante l' abbia avuto vicino a  me solo per i primi sei  anni della mia vita , ancora mi manca.
 

venerdì 8 agosto 2014

Come ovatta

La guancia faceva ancora male. Sentivo il calore che irradiava la mia pelle , il segno ancora impresso dalla mano che mi aveva colpita. Ripetutamente. Su tutto il corpo. E lui accanto a me , nel letto , che dormiva , ebbro di quella violenza che mi aveva donato con gratuito slancio proprio un'ora prima. Io giacevo al suo fianco, il freddo che mi consumava le membra nonostante le coperte che avevo addosso, e il cuore che andava a intermittenza, a seconda che il respiro di lui fosse silenzioso, o agitato.Tra le mani stringevo la mia salvezza, un flacone blu col tappo bianco , me l'aveva dato il dottore per curare quelle strane anse che ultimamente non mi davano tregua .Non è colpa sua , diceva , pretendi troppo da lui, gli stai troppo addosso, è normale che reagisca così , se tu lo istighi. Nell'oscurità cupa della camera pensavo. E la mia mente vagava . Ovatta. ecco quello che sentivo intorno a me. Morbida ovatta che mi richiudeva come un bozzolo in una dimensione protetta , lontana da quelle mani, al riparo da quella voce che ancora mi urlava nelle orecchie. Puttana. Chiusi gli occhi , e quando li riaprì lui era andato via . Dove ? Avevo imparato a non chiedere , a non pretendere , a non contraddire .Mi alzai senza fare rumore , andai verso il bagno e nuda mi infilai dentro il box doccia. L'acqua cominciò a scorrere e a bagnare il mio corpo ,a lavare via i miei peccati , le mie colpe. A dar sollievo ai miei lividi . Quali colpe di preciso  non saprei  dirlo, il mio sentirmi perennemente in difetto ormai fa parte di me , pensavo,e forse questo mio stato mentale è il più grande peccato che commetto contro me stessa. Mi avvolsi nell'asciugamano, lentamente , e mi avviai verso la cucina .Lì lo vidi. Non era andato via. Stava di spalle di fronte a me , avvolto in un fascio di luce lunare che penetrava di nascosto dalla finestra , e faceva apparire la sua ombra più possente di quello che già fosse. Lui però non mi notò minimamente  , e rimase  a contemplare la notte , fumando una sigaretta. Ampie volute di fumo impregnavano la stanza di un odore  acre e nauseabondo. L'odore della morte , che mi fece desiderare di trovarmi lontano da quella prigione che avevo scelto consenziente quando avevo detto sì sull'altare. Quel sì per il quale avevo dato via tutta la mia vita, nella vana speranza di inseguire un sogno che infine si era rivelato un incubo. Un incubo segreto, che non si può rivelare, da celare tra quattro mura e sotto spessi strati di correttore .Fu in quel preciso istante, quando presi realmente coscienza di quello che era il mio destino , che sentì il mio corpo farsi etereo, e fluttuare nell' aria. La guancia era ancora tumefatta  , ma non faceva più male, mi sentivo avvolta da un caldo umido , un tepore che mi scendeva tra le gambe e risaliva e si insinuava all'interno del mio corpo fino a scaldare gli anfratti più reconditi della mia carne. Mi allontanai in fretta da quella presenza e da quell' olezzo di morte , e più mi allontanavo da lui, più la paura spariva e faceva posto allo sgomento  , dettato da quella libertà che avevo appena conquistato. Dall'alto , dal punto dove mi trovavo, potevo scorgere tutta la vallata .Un paese piccolo , poche anime racchiuse tra case , cortili e pettegolezzi . Potevo volare fino a raggiungerle a una a una, quei corpi sfatti che dormivano nei loro letti , in attesa che si levasse un nuovo giorno per sputare ancora veleno .Quelle anime frustrate , bisognose di far del male agli altri per non sentire l angoscia che premeva loro in petto . Una sensazione strana mi avvolse, un sentimento che mi stupì e mi fece barcollare .Mi sentivo forte , immensa  di fronte a quella gente così volubile , in quel preciso istante. Nel sonno siamo tutti così fragili, così indifesi .Pensai a quello che avrei potuto far loro , mi spinsi oltre fino a immaginare i particolari più truculenti. Riscoprì in me una vena sadica che fino ad allora non avevo mai contemplato ,  occupata com 'ero  a fare la vittima e piangermi addosso. Questa nuova sensazione mi colmava e spaventava allo stesso tempo. Mi destabilizzava. Vacillai ancora, fino a perdere l'equilibrio,e precipitai in mare. Ma non avevo paura né di affogare, né di morire assiderata. Quel fluido denso mi aveva accolta , preservata . Nuotavo in un acqua scura , ma non avevo timore perché sapevo che lì nessuno avrebbe potuto trovarmi .Credetti di essere felice. Non potevo essere più felice. Nessuno sarebbe mai venuto a cercarmi in fondo al mare .Ero salva .
Uno strattone , poi un altro, e un altro ancora. Mi sento il respiro mancare. Affogo. Mi inabisso, sotto un peso che mi trascina vorticosamente  verso il basso. Affanno. Apro gli occhi. Lui mi ha trovata .Sono stesa sul letto, raggomitolata in posizione fetale. Vedo la sua bocca che si storce in smorfie e sbraita, ma non sento quello che mi sta urlando. Non sento che mi insulta, brutta cagna, ti sei pisciata addosso ,non capisco quella sensazione umida che adesso mi fa sentire bagnata, fredda e appiccicosa . Mi fanno male gli occhi, la luce mi ferisce .Voglio tornare a immergermi in quel mare denso . Come ha fatto lui a trovarmi?mi chiedo. Mi sento mancare le forze, tutto ridiventa buio, l oblio torna ad avvolgermi. Dalla mia mano cade un flacone .Vuoto .Lui lo raccoglie, si rende conto. Il terrore lo assale, ecco, vedi cosa si prova ad avere paura?vorrei dirgli. Ma sono già precipitata nuovamente nell 'oblio. Lui ricomincia a scuotermi, si strappa i capelli, urla cosa ho fatto ,cosa ho fatto, ma ormai non posso più vedere né sentire . Sono tornata nel limbo , gravito in un liquido uterino , protetta , libera . Una lacrima mi scorre giù, per quella guancia che non proverà più dolore. Finalmente felice, muoio di gioia.