martedì 26 maggio 2015

La speranza avvolta in stracci di lana

-Muoviti, Mariè, mamma ci sta chiamando! Il fratello maggiore urlò nell’orecchio del più piccolo che , con le mani ancora immerse nel veleno, stava cercando di ripulire un grosso pezzo di blenda dai residui d’argento . I fumi caustici gli arrossavano gli occhi, mentre con una pezza calata sul naso cercava di non respirare le esalazioni che si sollevavano dall’acqua , e che gli provocavano quei violenti accessi di tosse che lo tenevano sveglio la notte . Era talmente assorto nel suo lavoro da non rendersi conto che il fratello alle sue spalle lo chiamava a gran voce ,e sobbalzò quando sentì la mano di Francesco sulla sua esile spalla. -Cosa vuoi? Non ho mica finito. – disse, indicando i suoi compagni che , chini sulla vasca, eseguivano con meticolosità il suo stesso lavoro: una decina di piccoli soldatini pazienti e silenziosi che sfregavano i sassi coi palmi delle mani piagati e sanguinanti , fin troppo quieti considerato che non avevano più di cinque o sei anni. La loro madre, intanto, giaceva piegata in due a lato della via, reggendo il pesante grembo gorgogliante di vita con entrambe le mani ,con le gonne bagnate , mentre una donna accanto a lei cercava di sollevarla da terra . -Nasce!Nasce!- Francesco e Mario si guardarono in viso : avevano visto altre scene del genere in vita loro, ma mai avevano davvero compreso quello che stava per succedere , perché quelle erano cose da donne, e loro dovevano restarne fuori . Il minore dei due si accostò a sua madre, terrorizzato, mentre Francesco correva ad avvisare il capocantiere anche se , era sicuro, la notizia non sarebbe mai giunta in tempo a suo padre che , ignaro di tutto , scavava la nuda roccia in un tunnel freddo e angusto situato nelle viscere della montagna . Faticosamente le donne riuscirono ad arrivare fino alla casetta dove la famiglia Loddo risiedeva dal gennaio precedente . Pochissima mobilia , un letto di stracci e paglia in un angolo e un tavolo fatto di assi di legno , erano tutto ciò che avevano potuto permettersi fino a quel momento. Erano arrivati lì ,da Siliqua, dopo che Badore aveva perso il precedente lavoro come mezzadro a causa della malafede del padrone , che l’aveva accusato di aver avvelenato il pozzo . Rosas era stata una scelta obbligata ,l’unico modo per non morire di fame , anche se aveva comportato sacrifici immensi . Nessuna scuola per i bambini , nessuna assistenza in caso di malattia , la miniera toglieva loro la dignità e si prendeva la vita un pezzo per volta . Maria piangeva, non voleva quel bambino che stava per nascere . Aveva pensato di soffocarlo , perfino di affogarlo , una volta che fosse venuto alla luce. Voleva partorire da sola, e una volta cominciate le doglie si era nascosta dietro la lavanderia . Poi ,però, i dolori lancinanti l’avevano fatta desistere dal suo proposito e aveva chiamato aiuto, maledicendosi per averlo fatto. Quando aveva scoperto di essere nuovamente incinta aveva implorato il Signore, era perfino andata fino a Narcao alla ricerca di una mammana che l’aiutasse a sbarazzarsi della creatura , ma alla fine non c’era riuscita. Il fatto è che non poteva accettare di veder soffrire ancora la carne della sua carne , infliggendole una vita di fatiche e privazioni in quel luogo che era una condanna a morte. Inoltre i buoni da spendere allo spaccio, che costituivano la metà dell’esiguo stipendio , non sarebbero mai bastati per sfamare tutti , e avrebbe privato anche i figli maggiori , già molto debilitati, del sostentamento necessario per sopravvivere. Persa nei suoi pensieri non si accorse che Mario era lì in un angolo della stanza , al buio , e assisteva alla scena . Il bambino piangeva in silenzio :l’amica di sua madre aveva provato a scacciarlo, ma non c’era riuscita , e si era rassegnata ad avere quello spettatore inusuale , a patto che non si immischiasse e non facesse capricci. Agnese aveva assistito altre partorienti , in quel posto dimenticato da Dio, e sapeva che troppo sangue non era mai una cosa buona . Maria gemeva stremata , imprecando a ogni spinta mentre l’amica la incitava a dire il rosario , che sgranava tra le dita con fare frettoloso , incapace di prendere una decisione. -Vado a chiamare il padrone, lui saprà cosa fare – disse a voce alta a un certo punto, quasi dovesse convincere se stessa, anche se dubitava che il padrone l’avrebbe realmente ricevuta. Si sistemò lo scialle sui capelli e, dopo aver gettato un’ultima occhiata nell’angolo per assicurarsi che Mario fosse ancora lì , uscì di corsa . Avrebbe tentato l’impossibile per salvare la sua amica , ma in cuor suo sapeva che il dottore era troppo lontano e non sarebbe mai arrivato in tempo. Lasciato solo a badare alla madre, Mario si avvicinò al suo capezzale. Ora la donna non gemeva più. Il viso sudato e febbricitante rivolto al soffitto in una smorfia di dolore , gli occhi socchiusi: sembrava trasfigurata. Profondi solchi si erano aperti come voragini sulla sua pelle grigiastra , un tempo rosea e fresca, nere occhiaie contornavano gli occhi spenti . Il lavoro alla cava l’aveva rinsecchita, risucchiata :la madre di un tempo, dal petto generoso e dai fianchi abbondanti , i cui morbidi abbracci il bambino aveva tanto anelato , era scomparsa . Al posto suo una donna vecchia e sfatta , senz’altro da offrire ai suoi figli se non un boccone di pane, perché la miniera le aveva rubato anche la facoltà di dare amore. Se fosse morta in quel preciso momento, pensò Mario, nessuno se ne sarebbe accorto. D’un tratto percepì tangibilmente il peso di tutta un’intera esistenza, gli mancò l’aria, e mentre il fragile petto veniva scosso da una tosse stizzosa e prepotente , scoppiò in un incontenibile pianto . -Mammà, svegliati!Babbo arriva, non morire !- . La voce di Francesco risuonò nella stanza. Era arrivato trafelato , il sudore gli imperlava la fronte e colava sul colletto della camiciola sporca di fango . Per Maria fu come tornare in superficie da un tunnel buio e freddo. –Dunque è questo che si prova , quando si riemerge dal pozzo-fu il suo primo pensiero, e stava per dirlo ai suoi figli , quando le venne in mente il motivo per cui giaceva riversa sul letto al posto di spaccare le pietre in fabbrica con le sue compagne. Fu scossa da un tremito quando incontrò lo sguardo terrorizzato di Mario in piedi di fronte a lei , che le teneva la mano. Capì che non poteva morire, non doveva, perché i suoi bambini, i suoi figli adorati, non avevano altri che lei . Sarebbe sopravvissuta per loro , e per i figli che sarebbero venuti, Dio permettendo, dopo di loro . Anche questa vita che lei si ostinava a tenere in grembo aveva diritto di nascere. Quando Agnese, ore dopo , accompagnata dall’infermiera che era appena giunta dal paese , aprì la porta della casetta ,vide Maria ,esausta , che teneva in braccio la piccola Barbara, chiamata così in onore della santa protettrice dei minatori , e sorrise. Per la famiglia Loddo in quel momento era appena nata la speranza ,anche se avvolta in stracci di lana. Questo solo contava. Mario e Francesco sedevano su due sgabelli posti di fianco al letto , tenendosi per mano, le nocche bianche per il troppo stringere . Appena la donna varcò l’uscio , si alzarono in piedi , allentando la presa : era ora di tornare al lavoro, uno su per i cunicoli , l’altro alla vasca : la giornata non era ancora terminata

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